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Politics. Rivista di Studi Politici lancia la presente call for papers per raccogliere articoli destinati al prossimo numero monografico intitolato “Memoria, narrazione e politica nell’epoca digitale”.
L’avvento della cosiddetta società digitale può essere analizzato da innumerevoli prospettive. Le ricerche più corpose provengono, come è naturale, dall’ambito massmediologico, psicologico e sociologico. Le domande che attraversano frequentemente questo tipo di studi riguardano la configurazione dei digital media, l’articolazione delle tecnologie algoritmiche e i loro effetti sull’individuo e sulle relazioni sociali.
Da una prospettiva storico-politica, il dispiegamento diffuso della società digitale interroga da vicino alcune figure concettuali centrali nel dibattito contemporaneo. La prima riguarda l’ordine del discorso. La filosofia politica maneggia da sempre narrazioni costituenti. Dai miti platonici alle ipotesi contrattualiste, dalle Dichiarazioni d’Indipendenza ai Manifesti rivoluzionari, pensare il politico ha sempre significato produrne un racconto. La veridicità di queste narrazioni è del tutto irrilevante. A valere sono piuttosto gli effetti politici di realtà che esse generano e il ruolo cui esse assolvono per la tenuta sociale. La credenza – nel Leviatano o nel Sol dell’avvenire – genera azione e relazione politica. Come si riconfigurano, allora, le narrazioni (costituenti) nell’epoca della digitalizzazione diffusa?
Volendo portare all’estremo le provocazioni di Francis Fukuyama, bisognerebbe interrogarsi oggi non solo sulla fine della Storia – history – ma sulla fine delle storie – stories –, intesa letteralmente come appassimento della nostra capacità di produrre narrazioni. Nella prospettiva dell’analisi psicologica e psicanalitica, l’avvento dei social media ha certamente compresso la capacità di generare racconto, di sé e del mondo. Le auto-narrazioni digitali sono efficacemente definite come you loop, come circoli viziosi di io irretiti in echo chambers, in luoghi abitati da monadi del sé. Virtualizzato l’altro, produciamo un racconto di noi stessi senza inciampo e senza crisi, piano, lineare. Ego chambers, verrebbe da dire. Traslando queste considerazioni in una prospettiva politologica, si tratta allora di analizzare gli effetti di queste bolle egoiche sulle narrazioni collettive.
Un primo dato, evidente, è la proliferazione dei cospirazionismi. In un’epoca di specialismi disciplinari, e in assenza di soggetti politici collettivi capaci di produrre un’ermeneutica del presente, le fantasie di complotto sembrano assolvere efficacemente al compito di generare una narrazione collettiva in epitome. Il nostro bisogno disatteso di chiusura cognitiva, l’urgenza inappagata di spiegare i fenomeni, viene sedato dalla produzione di micro-nebulose narrative che trovano nell’universo digitale il loro straordinario veicolo di diffusione. Si passa, per dirlo in una battuta, dalla piattaforma politico-sindacale alla piattaforma digitale.
Questa prospettiva offre anche un’utile chiave di lettura per comprendere le forme che i populismi hanno assunto negli ultimi anni. La strutturale evanescenza delle narrazioni digitali, la loro universale fungibilità, costituisce uno strumento di eccezionale duttilità e inafferrabilità narrativa. La tenuta logica del discorso salta davanti alla proliferazione narrativa. L’accelerazione esponenziale dei tempi di decadimento del racconto digitale rende del tutto accessori i principii di coerenza e di non-contraddizione. È in questo particolare effetto dell’evoluzione digitale che la supremazia tattica del vuoto propria di ogni populismo sembra trovare il suo formidabile moltiplicatore.
Tutto quanto sopra detto ha ricadute anche sulle forme di composizione e ristrutturazione della memoriacollettiva. Se il passato è sempre, inevitabilmente, il racconto di ciò che è stato dalla prospettiva determinante del presente, è evidente che le forme del racconto proprie dell’era digitale non possono non influenzare anche la costituzione della memoria storica. Le fisiologiche istanze di memoria e oblio, per cui ogni società in qualche modo “decide” ciò che bisogna ricordare e ciò che è opportuno dimenticare, impattano sul decadimento cui la strutturazione digitale sottopone oggi ogni racconto condiviso. La capacità stessa di una memoria a lungo termine sembra oggi drammaticamente erosa se non del tutto compromessa.
Un’ulteriore figura concettuale che trova nel dispiegamento della società degli algoritmi una sua ridefinizione è quella del panoptismo. Quello che Michel Foucault qualificava come l’induzione di un état conscient et permanent de visibilité, per cui un soggetto tara i propri comportamenti in base al presupposto (non dimostrato) della loro costante trasparenza al potere, trova con l’avvento del digitale, ed in particolare dei social media, una sua ulteriore definizione. Non solo noi tutti presupponiamo l’onniveggenza del potere, ma vi collaboriamo attivamente. Il dispositivo di controllo, genericamente inteso, si è materializzato nella miriade di dispositivi tecnologici attraverso cui, dopo l’accelerazione pandemica, noi tutti offriamo dati utili alla nostra profilazione. Anche qui, con una battuta, il profilo, da concetto intimamente criminale/patologico, è divenuto il luogo di normale produzione della nostra identità social(e).
Un altro interrogativo ricorrente del pensiero politico riguarda gli affetti. Questo campo di riflessione ha evidentemente trovato il suo apice nella modernità politica, quando si è reso particolarmente esplicito il legame tra mappatura delle passioni e capacità di dominio. La capacità del potere di governare i soggetti è direttamente proporzionale alla sua capacità di governarne gli affetti. Come si configura questo sapere nell’epoca digitale? Accogliendo la tesi per cui l’intelligenza artificiale è strutturalmente e inevitabilmente anaffettiva, il corpo come luogo comune degli affetti dovrà necessariamente essere inteso come ciò che residua del digitale, come il suo rifiuto. Si tratta di un rilievo solo apparentemente paradossale, giacché la sovra-esposizione mediatica dei corpi individuali, la loro esibizione narcisistica, resta totalmente catturata in un dispositivo virtuale, in cui il corpo e i suoi affetti non hanno spazio né tempo. Anche in questo caso, l’analisi psicologica ha anticipato la riflessione politica, mostrando gli effetti ansiogeni dell’esibizione digitale. Quali sono invece i rilievi che l’analisi politologica può produrre in questo ambito? Cosa ne è del governo dei corpi nell’epoca della loro costante esposizione mediatica?
Da queste premesse e seguendo queste linee di ricerca, il presente numero di Politics. Rivista di studi politiciinvita studiose e studiosi a presentare loro contributi sui seguenti temi:
- Genealogia e ricostruzione storico-politica della società digitale e degli algoritmi;
- Analisi delle conseguenze politico-concettuali dell’avvento della società digitale e degli algoritmi;
- Analisi delle narrazioni digitali nell’epoca dei social media;
- Analisi delle nuove forme di costituzione della memoria collettiva nella società digitale;
- Analisi della diffusione dei cospirazionismi digitali;
- Analisi delle nuove configurazioni del populismo nella società digitale;
- Analisi concettuale della profilazione digitale;
- Analisi della ridefinizione del governo degli affetti della società digitale;
- Analisi delle narrazioni dell’epoca digitale (tecnoutopismo, accelerazionismo, singolarità tecnologica, ecc.).
Saranno prese in considerazione anche proposte di studiosi e studiose provenienti da ambiti disciplinari eccentrici rispetto alla riflessione strettamente storico-politica.
Per sottoporre una proposta di articolo occorre inviare un abstract dettagliato di circa 2.500 battute spazi inclusi e una breve bibliografia di max. 10 testi al seguente indirizzo e-mail: cfp@rivistapolitics.eu (Oggetto: “Cfp 24”). Nella proposta occorre specificare anche l’approccio metodologico che si intende seguire (per es. Storia del pensiero politico, Filosofia politica, ecc.)
Se le proposte saranno approvate, gli articoli dovranno essere poi redatti secondo le norme editoriali Chicago Manual of Style 17th (Author-date). Gli articoli dovranno avere la lunghezza massima di 35.000 battute complessive (escluso bibliografia, abstract e parole chiave) e dovranno essere redatti utilizzando esclusivamente il file modello (gli articoli che non utilizzano questo file non saranno inviati ai revisori).
Tutti gli articoli proposti devono essere originali e rispettare il codice etico della rivista.
Le scadenze sono le seguenti:
- 30/09/2025: invio abstract;
- 7/10: selezione degli abstract da parte dei curatori del numero e del Comitato di redazione;
- 7/12: invio degli articoli definitivi;
- 30/1/2026: comunicazione esiti della valutazione double-blind review;
- 22/2: invio articoli corretti secondo le indicazioni dei revisori;
- 9/3/2026: pubblicazione.
